In una settimana così importante non si può rimanere in silenzio, non si può scegliere di non
parlare e condividere i propri pensieri.
Il 27 gennaio ricorre la Giornata della Memoria, giorno che in realtà, per disattenzione e poco
interesse, dimentichiamo e che viviamo vestiti di mera tranquillità e normalità.
Un giorno in cui dovremmo fermarci a riflettere, anche se 24 ore non basteranno mai per pensare
a tutto il male fatto in una manciata di anni di guerra e discriminazione.
L’Olocausto, inteso come genocidio di massa del secolo precedente, è dramma di un’umanità mai
cambiata, dai tratti Medievali e che porta timore solo a parlarne.
Ma anche se a scuola l’ho studiata, io non so cosa sia l’Olocausto.
Tantomeno tu, lettore, puoi immaginare cosa sia.
Non ne conosci il colore, tra strisce verticali e triangoli sul petto; non ne conosci l’odore, un misto
tra voglia di scappare e terrore; non ne conosci il gusto, un perfetto connubio tra amarezza e
paura.
Non ne conosciamo praticamente nulla, eppure ne parliamo e se siamo empatici, ci emozioniamo,
chiedendoci come sia possibile che l’umanità sia riuscita ad arrivare a tutto questo.
Ma parliamo da persone fortunate, comode sul divano di casa, con il riscaldamento acceso, le
persone che amiamo accanto ed un pasto caldo in tavola.
Una volta l’anno, per 24 ore, ci chiedono di ricordare. E noi, non lo facciamo. Almeno non nella
maniera corretta.
Ricordiamo Auschwitz, Bredtvet, Chelmno, Koldycevo, Leopoli, Mauthausen, Sajmiste, Sobibór,
Treblinka, Varsavia, ma i luoghi di morte sono molti di più;
Ricordiamo i nomi di una serie di luoghi che non sappiamo tantomeno indicare su una cartina
geografica, ma li nominiamo per cultura e non per empatia;
Ricordiamo che c’erano uomini, donne, anziani, giovani, bambini, morti a causa del peccato di non
essere della “giusta razza”, ma non li conosciamo;
Ricordiamo il numero delle persone maltrattate, derise, torturate, brutalmente uccise, ma non ne
conosciamo il nome e anche per noi rimangono meri numeri.
Tendiamo a ricordare, ma superficialmente.
Questo messaggio che vorrei con voi condividere, però, vuole portarvi su altra lettura: perché
ricordare se possiamo conoscere?
Accedete ad internet con il vostro smartphone di ultima generazione, da cui forse state leggendo il
mio pensiero e cercate un nome. Date un volto alla storia che è stata e che sarà per sempre
indicata come il genocidio di massa peggiore della storia dell’umanità.
Immaginate la sua età, la difficoltà nel trovare cibo, nel dormire con estranei, tra condivisione di
vestiti, capelli, scarpe, escrementi, alla stregua di un branco di maiali al macello.
Immaginate la sua entrata nel campo di sterminio, inconsapevole del suo destino, con una tuta a
righe sotto al braccio e pochi oggetti che gli verranno tolti in poco tempo.
Immaginate l’allontanarsi dai suoi figli, perché donne e uomini sono utili in diverso modo.
Immaginate la crudeltà della morte, tra il fumo nero che ha il sapore di un corpo umano e le
unghie che lasciano segni di terrore sui muri.
Immaginate i lunghi anni trascorsi, tra nascondigli segreti, lacrime, fango, filo spinato, graffi, paura
e morte.
Immaginate il cuore battere all’impazzata, tra un manganello, una frustata, uno sputo, una risata,
solo perché gli animali scelti per il campo, non sono di alta qualità.
Trovate la storia di qualcuno e approfondite, perché solo così si può ricordare realmente, in modo
da non far svanire questa Giornata della Memoria, una volta ancora.
Ricordate di scegliere mossi da curiosità e rispetto, consapevoli che ciò che leggerete non sarà
facile da accettare.
Emozionatevi se potete, perché le lacrime risanano il ricordo e riportano in vita chi della vita è
stato privato.
Condividetela questa storia, perché parlarne è l’unico modo per ricominciare a vivere.
Ecco, forse questo mio pensiero non rientra in ciò che solitamente ti appartiene, ma nel ricordarti
che di fronte alla morte siamo tutti uguali, voglio anche ricordarti che di fronte alla crudeltà
umana, possiamo scegliere il bene.
Per questa umanità uccisa in uno scontro politico, razziale e di potere, dobbiamo ringraziare,
perché nella nostra libertà risiede il loro stesso sangue.
In questa Giornata della Memoria, mio caro lettore, ritaglia quel tempo che non è stato dato a chi
lo meritava, perché tu, proprio tu che stai leggendo, hai avuto la fortuna di essere libero, al
contrario di chi avrebbe voluto essere libero, ma è morto da prigioniero.
Mi inchino all’umanità e con rispetto, scelgo di ricordare.
Sergio De Simone:
Un bambino italiano, nato da madre ebrea, deportato ad Auschwitz con parte della sua famiglia.
Sergio, diviso dalla madre, è uno dei 20 bambini presentatisi di fronte alla “Baracca dei Bambini”,
rispondendo alla domanda “chi di voi vuole rivedere la mamma?”. In realtà, nel gioco più brutto
mai esistito, Sergio non incontrerà la mamma, ma il dottor Joseph Mengele che lo renderà una
delle cavie da laboratorio dei suoi esperimenti. Nel giorno del settimo compleanno di Sergio, le
sperimentazioni iniziarono e a tutti e 20 bambini presenti, furono inoculati bacilli tubercolari, che
portarono alla malattia. Successivamente, a tutti loro vennero asportati i linfonodi, quelli che si
pensavano potessero produrre anticorpi alla tubercolosi. Quando arrivò l’ordine di nascondere
tutto il male fatto e questi esperimenti, i bambini vennero mandati ad Amburgo, dove vennero
sedati con morfina ed impiccati alle pareti di una stanza di una scuola.
1 commento su "Giornata della Memoria: non sapete cosa sia!"
Concetta
“Giorno della memoria”io vi dico che non so dimenticare (e neppure voglio) quanto i miei occhi hanno visto e quanto il mio spirito ha patito in visita al campo di Auschwitz e poi a Birkenau.Voi direte una stupida gita io ribadisco una ferita nel cuore.Io non dimentico !grazie luigi bel testo .